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Moto.it – “MotoGP e Doping. C’è? Come e perché”

www.moto.it (13/04/2018) “MotoGP e Doping. C’è? Come e perché” intervista al Dott. Michele Zasa di Marco, Berti Quattrini.

Esiste il doping in MotoGP? Quali sostanze possono aiutare un pilota? E quali vantaggi potrebbe avere? Ne abbiamo parlato con il Dott. Michele Zasa, direttore sanitario della Clinica Mobile.

Esiste il doping in MotoGP? In tutti gli sport ci sono sostanze e trattamenti proibiti che aiutano ad aumentare le prestazioni per raggiungere risultati superiori alle proprie capacità, o al livello di preparazione raggiunto. E’ così anche in MotoGP? E ha senso farlo in una disciplina con così tanti fattori  (moto, setting, meteo, pneumatici, solo per citarne alcuni) che influenzano il risultato in modo ben più pesante che la prestazione fisica/mentale? E supponendo che ci siano piloti che ne fanno uso, di quali sostanze si parlerebbe? Per ottenere quali ipotetici vantaggi?

La scorsa settimana, Cal Crutchlow ha chiaramemte parlato di siringhe e di doping: “Sono certo che qualcuno assuma sostanze vietate. I controlli antidoping sono insufficienti. Se pensi che non ci siano persone che non cerchino di tagliare le curve, nel più grande sport motociclistico al mondo, sei uno stupido”.

Dichiarazioni impegnative e molto preoccupanti. Ma a cosa si riferiscono? E che dimensione hanno? Ne abbiamo parlato con il Dott. Michele Zasa, direttore sanitario della Clinica Mobile, per cercare di fare maggior chiarezza.

Dott. Zasa, allora, esiste il doping nel Motomondiale? 
«Se io ne fossi direttamente a conoscenza sarei obbligato legalmente e deontologicamente a denunciarlo. La mano sul fuoco non la posso mettere, e, come tutti i micromondi, anche il nostro rappresenta un mondo più grande che è quello dello sport e della vita in generale: quindi è ipotizzabile che ci sia qualcuno che magari voglia fare il furbo, ma non è un problema endemico, come per esempio si sente dire di altri sport. Nel motociclismo il guadagno che si può avere a barare non è incredibile come può essere in altre discipline, quindi sono più i rischi che i benefici. Poi alcune delle sostanze di cui si parla (il riferimento è alle dichiarazioni fatte da Crutchlow, NDA) servono ad ottenere gli stessi risultati che si raggiungerebbero con una buona dieta e una buona preparazione. Ci si può arrivare lavorando di più. 
Io conosco altre realtà sportive in cui i sospetti sono molto maggiori. Ripeto: la mano sul fuoco non la metto, e statisticamente qualcuno prima o poi verrà trovato positivo, ma la sensazione è che non  ci sia quell’utilizzo diffuso di escamotage come sembra guardando dall’esterno altri sport».

Di che benefici stiamo parlando?
«Ci sono le sostanze che ti aiutano a perdere peso, quelle che aumentano la resistenza, e altre che non danno benefici ma che sarebbero pericolose se assunte prima di scendere in pista. Per esempio, una persona che ha assunto alcol non guida certamente meglio, ma è pericoloso per sé e per gli altri».

Ci sono sostanze che migliorano in modo diretto le prestazioni? 
«Ci sono sostanze eccitanti che potrebbero favorire la performance oltre certi limiti, per esempio l’efedrina e la pseudo efedrina.
Poi ci sono anche i betabloccanti, che mantengono il ritmo cardiaco basso e aiutano a rimanere rilassati: ma sinceramente non ho mai avuto la percezione che si faccia uso di betabloccanti, e comunque risulterebbe anche nei controlli anti doping».

C’è anche un doping legato alla sopportazione del dolore?
«Su questo c’è molta leggenda. Leggo a volte chi scrive nei vari forum: “Chissà che bombe gli danno per farli correre!?”. La verità è che a fare la differenza è  l’approccio all’infortunio e al dolore che hanno questi professionisti. Evidentemente per arrivare fin lì c’è stata una selezione, e chi non aveva la capacità di sopportare il dolore come  loro non è arrivato al Mondiale, si sono tirati indietro quando c’era da combatterlo. Quindi quelli che arrivano a questi livelli non mollano mai, anche se hanno male. Noi possiamo dare farmaci, ovviamente legali, per aiutarli, ma altri, come gli oppioidi per esempio, che oltre a essere dopanti non permetterebbero al pilota di essere lucido e diventerebbe un pericolo per sé e per gli altri. Diciamo che la vera differenza tra i tempi di recupero di una persona normale e di un pilota dipende dalla forza di volontà. Volontà di gareggiare, volontà di vincere». 

Poi c’è il doping per tenere sotto controllo il peso.
«Erroneamente si sono citati i diuretici (il riferimento è sempre alle dichiarazioni fatte da Crutchlow, NDA), ma i diuretici fanno perdere liquidi e questo squilibrio non permetterebbe neppure di fare attività sportiva, perché potrebbe provocare anche lo svenimento. Il diuretico è nella regolamentazione anti doping perché certi atleti, in certi sport, li usavano per eliminare rapidamente alcune sostanze dopanti, e quindi è un marker indiretto di utilizzo di sostanze proibite. Sono invece le anfetamine e gli anfetaminoidi che fanno perdere peso, perché aumentano il metabolismo basale e quindi potrebbero essere possibili sostanze usate per il controllo del peso». 

Come funzionano i controlli?
«La regolamentazione anti doping è emanata dalla WADA (World Anti-Doping Agency, NDR) e le Federazioni si adeguano. Questo per quanto riguarda sostanze e metodiche proibite. In merito invece all’organizzazione dei controlli, ogni Federazione si organizza autonomamente: la FIM delega un’agenzia che li effettua nel corso della stagione».

Quanti piloti vengono controllati?
«Come detto anche da Vito Ippolito (Presidente FIM, NDA), è una questione di soldi. Idealmente se ci fossero soldi infiniti si potrebbero controllare tutti i piloti in tutti i weekend. In questi anni abbiamo visto fare mediamente due o tre controlli all’anno, solitamente – ma non sempre – alla domenica e solitamente venivano fatti sulle urine, ma in alcuni casi anche sul sangue. Solitamente vengono pescati tre piloti per ogni categoria, i primi tre o tre sorteggiati, o su indicazione della Federazione. Le regole cambiano, e gli stessi incaricati dell’antidoping non lo sanno fino a quando non arrivano in circuito e aprono la busta con le indicazioni operative.
Poi ci sono gli atleti inseriti nel programma ADAMS (Anti-Doping Administration & Management System), che possono essere testati anche a casa e devono dare durante tutto l’anno di monitoraggio una reperibilità giornaliera di una o due ore». 

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